Da dove partire?

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Commentando… (del vescovo Adriano)

Da dove partire?

Mi è capitato di incrociare in internet un libro, uscito in questi mesi del 2014, di Bruno Tinti, penalista piemontese che si è occupato di reati tributari e fallimentari. Il titolo è “La rivoluzione delle tasse”. È da qualche tempo che cerco di capire attraverso quali vie si potrà uscire da questa nostra crisi italiana, segnata da un debito pubblico enorme e sempre in crescita e da un parallelo aumento di tasse. Cosa potrà fare lo Stato? Mi ha colpito leggere l’estratto del libro che comincia con la citazione dell’articolo 53 della Costituzione: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro

capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività». Questo significa, in altre parole, che tutti devono pagare le tasse; e chi più ha più deve dare: non solo in termini assoluti ma anche proporzionalmente.

Egli rileva: “Se il 93% del totale del gettito tributario lo pagano i lavoratori dipendenti e i pensionati, vuol dire che troppi italiani vivono a sbafo: sono i possessori di partita Iva e i tanti professionisti che denunciano molto meno di quanto guadagnano”. E prosegue: “Mai principio costituzionale è stato tradito più gravemente. La «capacità contributiva» è del tutto ignorata e la misura della tassazione è quantificata in modo iniquo e ulteriormente aggirata per via dell’evasione fiscale. A tutto ciò si aggiunga un sistema di accertamento e di repressione dell’illegittimità inefficiente, studiato e realizzato per non funzionare e per guadagnare alla classe politica consenso e continuità, attraverso la garanzia di privilegi, di diritto o di fatto, per le classi sociali più favorite, quelle il cui voto può far pendere la bilancia da una parte o dall’altra dello schieramento politico. Oggi quel principio dell’articolo 53 non ha più significato nel nostro paese: poiché i cittadini che più contribuiscono alle risorse dello Stato sono vessati e ignorati; e gli altri lo Stato li protegge o non controllandoli, o con condoni (uno ogni quattro anni), o con leggi specifiche come l’abolizione del falso in bilancio. Il messaggio è chiaro: rubare si può”.

Ecco la testimonianza di chi ha provato a far pagare le tasse, anche con la proposta di una nuova legge tributaria approdata in Parlamento ma affossata dal partito trasversale degli evasori. Un patto scellerato. Quello tra lo Stato e gli evasori.

Leggevo, sempre in internet nel libro di Liviadotti, “Ladri – Gli evasori e i politici che li proteggono”, che, oltre ai benefici economici e pensionistici dell’intera classe politica italiana, esistono altri benefici ancora più scandalosi fino ad oggi rimasti ben nascosti. Non riporto tutta l’analisi, solo le conclusioni. “Tirando le somme, il totale delle entrate di un deputato è di 235.615 euro lordi che, dedotte le ritenute previdenziali e assistenziali, diventano 189.431 euro, ma grazie ai trattamenti di favore promosse dallo stesso Parlamento, la base imponibile ai fini Irpef è di soli 98.471 euro e questo comporta, grazie all’aliquota media del 18,7%, una tassazione di Euro 35.512. Qualsiasi altro cittadino italiano che ha la fortuna di percepire uno stipendio di quel tenore (Euro 189.431), dovrebbe pagare però, grazie all’aliquota del 39,4%, Euro 74.625 di Irpef. A conti fatti, i deputati pagano il 47% in meno di un comune cittadino risparmiando 39.000 euro”.

Qualcosa cambierà se ritorna il primato della retta coscienza! (+ Adriano Tessarollo)

 

da NUOVA SCINTILLA 14 del 6 aprile 2014