Giovedì Santo. Omelia del vescovo Adriano nella Messa crismale

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Speciale Pasqua

I riti pasquali con il vescovo

Giovedì Santo. Omelia del vescovo Adriano nella Messa crismale

Solenne concelebrazione presieduta dal vescovo Adriano con un centinaio di sacerdoti, il mattino di giovedì santo 5 aprile in cattedrale, per la consacrazione degli oli. Al termine del rito, in Seminario è stata scoperta una lapide in memoria dei fratelli preti Angelo e Antonio Poli, grazie al cui lascito sono stati ristrutturati i locali dove hanno sede gli uffici pastorali.

E’ seguito il pranzo fraterno nel giorno istitutivo del sacerdozio ministeriale.

Riportiamo l’omelia del vescovo.

 

Carissimi confratelli nel sacerdozio, religiosi e religiose e sorelle e fratelli laici!

La benedizione degli oli

La liturgia del mattino del Giovedì Santo pone al centro la benedizione degli oli sacri – l’olio per l’unzione dei catecumeni, quello per l’unzione degli infermi e il crisma per i Sacramenti che conferiscono lo Spirito Santo, cioè il Battesimo, la Confermazione, e le Ordinazioni sacerdotale e episcopale. Tre oli. Questi tre oli esprimono tre dimensioni o condizioni dell’esistenza cristiana. L’unzione con l’olio dei catecumeni, che avviene ancora prima del Battesimo sta a dire che non solo l’uomo cerca Dio, ma che Dio stesso si è messo alla ricerca dell’uomo, e gli cammina accanto per sostenerlo nell’uscire dall’abisso del peccato donandogli la forza per combattere il tentatore. È un primo modo di essere toccati da Cristo e dal suo Spirito nel momento in cui la persona si mette in cammino verso Cristo. C’è poi l’olio per l’Unzione degli infermi che è destinato alla schiera delle persone sofferenti, con tutti i loro dolori, le loro speranze e disperazioni. San Luca racconta: “Li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi” (9,2). Gesù stesso ha affidato questo incarico ai suoi discepoli, perché facessero come Lui ha fatto, inviato “a fasciare le piaghe dei cuori spezzati”, come abbiamo ascoltato oggi nella prima lettura dal profeta Isaia (61,1). L’annuncio del regno di Dio guarisce anche il cuore ferito degli uomini: la prima e fondamentale guarigione avviene nell’incontro con Cristo che ci riconcilia con Dio e risana il nostro cuore affranto. L’olio per l’Unzione degli infermi è espressione sacramentale visibile della missione della Chiesa di operare anche la guarigione concreta dalla malattia e dalla sofferenza attraverso l’amore premuroso verso persone angustiate nel corpo e nell’anima. In virtù della fede e dell’amore la chiesa è chiamata a mettersi a fianco dei sofferenti dando testimonianza della bontà di Dio.

C’è infine il più importante degli oli ecclesiali, il crisma, mistura di olio di oliva e profumi vegetali (balsamo). È l’olio dell’unzione del Battesimo, della Confermazione e delle Ordinazioni sacerdotale e episcopale. Abbiamo ascoltato le parole del profeta Isaia “Voi sarete chiamati ‘sacerdoti del Signore’, ‘ministri del nostro Dio’ sarete detti” (61,6) che richiamano la promessa e la consegna di Dio in Es 19,6: “Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa”. San Pietro applica tale privilegio e incarico all’intera comunità dei battezzati: “Voi invece siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa. Un tempo voi eravate non-popolo, ora invece siete popolo di Dio” (1Pt 2,9s). Battesimo e Confermazione costituiscono l’ingresso in questo popolo di Dio e l’unzione nel Battesimo e nella Confermazione è un’unzione che introduce in questo ministero sacerdotale in favore di tutta l’umanità. Quest’olio (crisma) ricorda ai cristiani che sono popolo sacerdotale per il mondo, per rendere visibile al mondo il Dio vivente, testimoniarLo e condurre l’uomo a Dio. Apriamo veramente agli uomini la strada verso Dio e non siamo di ostacolo, con la nostra contro-testimonianza. Nel segno del crisma Egli ha posto il suo Spirito Santo su di noi, per renderci con la forza del suo Spirito gioiosi testimoni del suo amore e del suo messaggio.

La croce nella vita del prete

Mi rivolgo, come ogni anno, particolarmente a voi, cari confratelli nel ministero sacerdotale. Oltre all’Unzione nel Battesimo e nella Cresima, noi abbiamo ricevuto l’Unzione sacerdotale e episcopale. Giovedì Santo è in modo particolare il nostro giorno. Nell’Ultima Cena, di cui faremo memoria questa sera nelle nostre comunità, il Signore ha istituito il sacerdozio neotestamentario. Con gratitudine per la vocazione ricevuta e con umiltà per tutte le nostre insufficienze nella risposta rinnoveremo tra poco il nostro “sì” alla sua chiamata. Quella nostra Unzione sacerdotale ci rimanda a Cristo (Messia), parola che significa “l’Unto”, cioè Colui che il Padre ha inviato al suo popolo. Per quella sua missione Gesù ha ricevuto l’unzione dello Spirito Santo, come abbiamo ascoltato dal vangelo di Luca: “Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato per annunziare ai poveri il lieto annunzio”.

Nel primo anno (2010) ho proposto una riflessione su: “Eucaristia e vita del prete: partecipazione al sacrificio di Cristo”. Nel secondo anno (2011) ho proposto una riflessione su: “Ci ha riuniti l’amore di Cristo: vita fraterna dei presbiteri”. Quest’anno propongo una breve riflessione su: “La croce nella vita del prete”. L’umanità di Gesù è penetrata dalla forza dello Spirito Santo. Apriamo anche noi la nostra umanità al dono dello Spirito Santo. Quanto più siamo uniti a Cristo, tanto più veniamo colmati dal suo Spirito, dallo Spirito Santo. Il nostro sacerdozio trae la sua efficacia dal nostro tenerci uniti a Cristo, da cui deriva il nostro sacerdozio. Solo da questo amore-comunione con Lui nasce la dedizione appassionata alla nostra missione pastorale, e rimane vivo il desiderio di curare i vicini, di andare a cercare quelli che sono lontani, di non correre il rischio di ridurci a semplici “gestori” delle cose sacre o di metterci nella situazione di smarrire il senso dell’essere degli “inviati”, ma di “andare per conto nostro” e finire in mille forme di autoreferenzialità. Uno degli aspetti più caratteristici del Sacerdozio di Cristo è stato l’avere offerto se stesso come vittima sacrificale. Non ha offerto altre vittime, né ha fatto altre vittime. Questo suo donarsi è espresso nella figura della Croce, non solo come patibolo materiale ma come simbolo della sua vita donata totalmente al disegno del Padre a servizio degli uomini, specie se peccatori, per riportali all’amore del Padre. «Il segreto del mio sacerdozio sta nel crocifisso!» ebbe a dire il beato Giovanni XXIII poco prima di morire.

Ricordava Giovanni Paolo II, in occasione del 50° del suo sacerdozio, che la croce, nella vita del presbitero, non è un incidente di viaggio, che può esserci o non esserci, ma è la strada stessa da percorrere. Più che il coraggio di sopportarla, dobbiamo acquisire la fede per apprezzarla, per desiderarla, per cercarla e per servirla con assoluta fedeltà. Dobbiamo preoccuparci di amare la croce, di crederla salvifica e di sperare di più nella fecondità della croce che non nei successi e nelle gratificazioni del nostro lavoro e della nostra fatica. Se Cristo è sacerdote e vittima, chi ha avuto la particolare chiamata di continuare il suo sacerdozio ministeriale deve vivere questa realtà ‘vittimale’ di configurazione a lui. Ogni sacerdote sa quali sono i doveri e gli impegni che ha assunto nella Chiesa nel momento della sua ordinazione (e che tra poco tutti insieme rinnoveremo) e sa anche che tali doveri e impegni lo configurano a Cristo vittima, e ciò comporta una vita di immolazione. Solo in questa logica possono essere compresi e vissuti gli impegni della povertà evangelica, della castità verginale e dell’obbedienza ecclesiale, vissuti non come obbligo ma come dono libero di sé nel servizio a Dio e al Vangelo in favore dei fratelli.

In questa prospettiva il nostro ministero ci impegna in una vita ispirata al radicalismo evangelico espresso e richiesto a chi ispira la sua vita ai consigli evangelici di povertà, castità, e obbedienza. In questo orizzonte il sacrificio e la rinuncia diventano libertà e gioia di una vita autenticamente sacerdotale, in cui il presbitero sperimenta che c’è più gioia nel dare che nel ricevere (povertà), vive il dono di sé al Signore e l’amore ai fratelli, specie i più poveri e abbandonati (celibato), e mette se stesso e le proprie energie a servizio della Chiesa che si realizza e concretizza nella Chiesa locale (obbedienza).

La Vergine Maria ci accompagni lungo il nostro cammino, fino al dono totale, come ha accompagnato il Figlio Gesù fino alla sua immolazione sulla croce.

+ Adriano vescovo

 

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(foto Donaggio)

 

 

da NUOVA SCINTILLA del 15 aprile 2012