In occasione del mese dei defunti

Facebooktwitterpinterestmail

Commentando… (del vescovo Adriano)

In occasione del mese dei defunti

Il mese di novembre nella tradizione cattolica si apre con la “Solennità di tutti i Santi” (Ognissanti) e prosegue il 2 novembre con la “Commemorazione di tutti i fedeli defunti”. Nell’una e nell’altra festa il pensiero è portato comunque sulla ‘morte’, attraverso la memoria di chi questo ‘evento’ già l’ha sperimentato. Il pensiero della morte diventa angosciante o familiare a seconda del senso ultimo che ognuno ha della vita. Ogni epoca e cultura ha espresso ed esprime attraverso il culto dei morti il suo pensiero ultimo sulla vita. Nella tradizione biblico-cristiana il culto dei morti è andato modificandosi man mano che andava crescendo la rivelazione-comprensione del senso della vita dell’uomo, del suo destino in relazione a Dio, rivelazione che ha raggiunto la sua pienezza nell’insegnamento e nell’esperienza di Gesù di Nazareth, specie nell’evento della sua risurrezione.

Con la risurrezione di Cristo, la vita e la morte assumono un nuovo significato. La “Vita” ora è la comunione con Dio, e “la morte” non è più la fine di questa vita presente, ma il distacco dell’uomo da Dio. La separazione dell’anima dal corpo mortale non è più vista come “morte”, è solo un sonno temporaneo.Ma vediamo alcune tappe della comprensione della realtà della morte.

– La morte fa parte del ritmo vitale dell’esistenza umana. Leggiamo in Sir 17,1-2: “Il Signore ha creato l’uomo dalla terra e ad essa lo fa di nuovo tornare. Gli ha concesso giorni contati e tempo definito”. “È lui che fa morire e fa vivere, abbassa ed esalta (1Sam 2,6)”. Anche il morire rientra quindi nell’ambito dell’agire di Dio. La morte è il segno della limitatezza e della caducità umana del suo essere creatura. La morte fisica è vista come conseguenza biologica iscritta nella natura dell’essere umano.

– Per altro verso viene sottolineato il profondo desiderio e anelito dell’uomo a vivere, a proiettarsi verso la vita, l’amore, la relazione con le cose, con gli altri, con Dio. Il pensiero della morte in quanto spegnimento dell’aspirazione fondamentale dell’uomo, che è quella di vivere e conservare le relazioni stabilite, fa sorgere nell’uomo angoscia e amarezza, in quanto nostalgia del desiderio e della relazione.

Quali risposte sono state date a questo desiderio profondo di vita e di relazione?

1. Una risposta temporale. L’isolamento da Dio e dagli altri provocato dal morire è superato per chi muore entro una comunità che lo onora e lo ricorda, così in qualche modo egli continua a vivere nella memoria che i vivi fanno di lui, o nella vita dei suoi figli. È molto sottolineata oggi questa forma: vivrai nei nostri cuori, nei cuori dei tuoi cari. Leggiamo ancora in Sir 44, 8.14 degli uomini giusti e virtuosi: “Lasciarono un nome che è ancora ricordato con lode… e …i loro corpi sono sepolti in pace e il loro nome vive per sempre”.

2. Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità. La morte non è primariamente o solo fisica: è l’eterna separazione da Dio e dai fratelli. Dio non ha creato la morte, né vuole per gli uomini la morte. Essa è entrata nel mondo per il diavolo e solo gli empi fanno esperienza della morte come definitiva separazione da Dio. Ma la condizione perché l’uomo raggiunga il suo destino finale di vivere è praticare la giustizia: “Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, agli occhi degli stolti parve che morissero ma la loro speranza resta piena di immortalità” (Sap. 3). Tutto quindi si decide nella libertà umana di vivere secondo giustizia o ingiustizia, con Dio o contro Dio.

3. “Chi crede in me, anche se muore, vivrà, dice Gesù”. Gesù è venuto per proclamare e inaugurare la potenza dell’amore del Dio della vita. Questo amore offre senso alla vita mortale degli uomini, assicurando la vittoria finale della vita, intesa come relazione stabile, eterna e definitiva, che va oltre la limitatezza del tempo e la fragilità della creatura, in quanto essa diventa ‘partecipe della vita divina’. Gesù ha ridato la vita ad alcuni per mostrare che la potenza di Dio vince la morte con la vita. Con la sua risurrezione egli stesso è divenuto ‘vita e risurrezione’ per l’uomo che nella vita cerca e vive la comunione con lui, nella pratica dell’amore e della giustizia che egli ci insegnato e con il dono dello Spirito Santo fonte di vita. L’Apocalisse proclama: “Beati i morti che muoiono nel Signore”, si aprirà per loro “un cielo nuovo e una terra nuova e non vi sarà più morte nè lutto, grida, dolore”.

Celebrare la solennità di Tutti i Santi significa proclamare la certezza che tutti i nostri fratelli che hanno cercato la verità e la giustizia nella fede e nell’amore partecipano della vita e della festa divina. È quindi una festa, gioia e non tristezza! Celebrare la Commemorazione di tutti i Fedeli Defunti significa offrire le nostre suppliche e preghiere al Signore perché la sua misericordia si estenda a tutti i nostri cari, anche se la loro vita è stata segnata da qualche fragilità.

Dovremo uscire dalla visita ai cimiteri con una memoria più viva dei nostri cari, ricordando il bene da loro compiuto, avendo pregato per le loro fragilità, con l’animo sollevato dall’angoscia della morte, perché sappiamo che ‘la nostra patria è nei cieli’ e, infine, animati nel vivere al presente la nostra santità di vita in unione al Signore Gesù, via alla nostra definitiva partecipazione alla vita che non muore.

+ Adriano Tessarollo

 

da NUOVA SCINTILLA 41 del 2 novembre 2014