Intervista al nostro vescovo Adriano

Facebooktwitterpinterestmail

Intervista al nostro vescovo Adriano (versione stampata)

Quando lei si è insediato ha iniziato una certa riorganizzazione in diocesi attraverso le Unità pastorali. Ormai è tra noi da tre anni e mezzo: ci può spiegare meglio quale è il significato, quali le opportunità e difficoltà delle Unità pastorali.

Le Unità pastorali rappresentano un fatto nuovo. Anche se fanno fatica ad essere accolte nella loro identità, quanto piuttosto nella loro necessità, cioè, si dice: siccome non ci sono preti per ogni parrocchia, allora ad un prete vengono affidate più parrocchie. Questo non è un concetto di unità pastorale. Unità pastorale significa collaborazione organica tra comunità che hanno una loro identità che chiamiamo tradizionalmente comunità parrocchiale e che fa riferimento ad un luogo di incontro che è la chiesa o degli ambienti specifici, che una volta avevano anche un prete residenziale, mentre ora

non sempre c’è. Ma la novità sarebbe questa: più comunità di un territorio che hanno problemi comuni e sono relativamente vicine, insieme. In tempi in cui le forze presenti nelle comunità diminuiscono, non solo diminuiscono i preti ma anche la frequenza dei laici e la loro disponibilità, è il caso di dire: beh, forse c’è il rischio di rimanere impoveriti nella qualità dei servizi in ogni parrocchia piccola o grande o media che sia, dunque uniamo le nostre forze, ci coordiniamo e camminiamo insieme, arricchendo l’esperienza pastorale delle varie comunità, che per una maggiore partecipazione, vitalità, e qualità della vita cristiana si uniscono insieme: ecco allora “unità” e “pastorali”. C’è una azione pastorale che viene condotta insieme. Certo questo richiede di superare il campanilismo e un certo spirito di comunità: io ho tutto nella mia chiesa, fuori della mia porta di casa con i miei 8-10 bambini o 15 che siano; mentre l’altra è un’esperienza di chiesa che accosta più attuali comunità parrocchiali ma con lo scopo di una più ricca, viva e vivace esperienza educativa di fede dei cristiani che trovano in uno o talvolta anche in più sacerdoti le loro guide. Ad esempio abbiamo una unità pastorale di sei parrocchie con tre sacerdoti e la loro collaborazione e la loro presenza dà una maggiore qualità e vitalità all’azione pastorale.

Lei ha sempre insistito sulla collaborazione e corresponsabilità dei laici. A che punto siamo?

La collaborazione e corresponsabilità dei laici richiede due forti passaggi e non siamo moltissimo avanti, anche se qualcosa si fa. Innanzitutto bisogna partire dall’idea che tutti i battezzati sono responsabili della loro fede, che si vive a livello personale, familiare, e comunitario, partecipando. La comunità è organizzata in chiesa universale, in chiesa diocesana guidata dal vescovo, dove appunto i presbiteri in comunione con il vescovo sono in servizio ministeriale, e per affinità di problematiche e di territorio abbiamo anche la suddivisione in vicariati. Questa articolazione dovrebbe favorire la partecipazione all’unico cammino della comunità diocesana attraverso queste strutture che si dotano di organismi di partecipazione: c’è il consiglio pastorale diocesano, ci sono i consigli pastorali vicariali e quelli parrocchiali. All’interno delle comunità poi ci sono specifici problemi anche economici, e allora c’è un consiglio per gli affari economici diocesani e un consiglio per gli affari economici parrocchiali. Però è importante il discorso della trasmissione della fede, che non è affidata solo al presbitero. Il presbitero ha una parte di compiti per quanto riguarda la fede, la vita della comunità, reperire strumenti, guidare, formare; ma la trasmissione della fede è impegno di ogni battezzato. Ecco perché nelle comunità ci sono i catechisti, gli animatori liturgici… Dovremmo lavorare molto di più anche per le coppie che si danno da fare per stimolare i genitori che chiedono di battezzare i loro figli, per l’impegno che un genitore assume quando decide di far battezzare il figlio, Qui abbiamo ancora diversa strada da fare: primo perché anche noi sacerdoti, e metto dentro anche il sottoscritto, abbiamo bisogno di consegnare le responsabilità, di affidare ai nostri laici i loro spazi, saper ascoltare le loro indicazioni; ma anche i laici devono farsi avanti, sentire che è importante, anzi scaturisce dal loro battesimo il compito di essere educatori alla fede, collaboratori nella comunità parrocchiale, nel vicariato e nella diocesi. Questo è il percorso perché nella chiesa popolo di Dio, con i vari doni e responsabilità, si mettano a frutto le forze di tutti; tanto più che c’è una tendenza ad allontanarsi dalla vita delle nostre stesse comunità e allora abbiamo bisogno di uno slancio sia missionario, di annuncio, e anche di uno slancio vitale per tenere vive le nostre comunità.

Eccellenza, il papa è da pochissimo su Twitter, lei ho visto che è in Facebook, il settimanale diocesano e la diocesi sono è in Internet… quindi la chiesa sta utilizzando questi nuovi media, come pensa si possa promuovere l’utilizzo da parte della chiesa dei nuovi media per l’annuncio del vangelo alla società. Inoltre, è un dato di fatto che i social network sono uno strumento formidabile ma possono essere veicolo sia positivo che negativo, cosa suggerisce ad un cattolico o comunque ad un fruitore di Internet per un uso positivo?

La nostra fede per definizione è comunicazione. Il Vaticano II ci ricorda che “Piacque a Dio manifestare se stesso e i suoi disegni e progetti”… Questa comunicazione è rivolta agli uomini, quindi tutto quello che può essere utile per questa comunicazione è da apprezzare. Gli attuali mezzi, rispetto alla predicazione o alla carta stampata, hanno maggiore possibilità di avere sia “l’andata” che il “ritorno”: ad esempio se io in chiesa predico, la gente ascolta e poi non so se ha condiviso, se ha capito; gli articolisti del giornale scrivono la loro opinione, le loro ricerche, il lettore che legge ha i suoi pensieri, ma è finito così, e se avesse qualcosa da obiettare, niente… I nuovi mezzi hanno la possibilità di dare degli input e riceverli. Adesso il papa utilizza Twitter: 140 caratteri, a cui ciascuno può reagire (non so poi quanto tempio abbia lui di leggere tutto…). Anch’io in passato leggevo di più Facebook, ora c’è anche Twitter, ma non c’è tanto tempo… Magari alla sera quando c’è un po’ di tempo vedo e scrivo e poi ti arrivano delle risposte, positive e negative. S. Paolo suggerisce questo criterio: Ascolta tutto e ritieni ciò che è buono. Mai entrare nella logica dello scontro, però nell’ottica della puntualizzazione motivata: è una possibilità. Quindi il mettere in comunicazione il settimanale, il programma pastorale, è importante. A dire il vero io non metto in rete tantissime cose tra quelle che scrivo e faccio, però certamente è una opportunità che va utilizzata. E questo permette anche, dove c’è volontà di dialogo, una discussione, un confronto. Dopo sempre s’infila chi la pone dall’altro versante con insulti e parolacce, o sentenzia; ma è ciò che capita anche quando si parla direttamente, a volte è un dialogo, a volte è uno scontro o un discorso tra sordi. Comunque quello che conta non è solo quello che si dice, ma soprattutto le motivazioni che si adducono. Quando uno porta delle motivazioni, poi ognuno le legge e aderisce o meno alle motivazioni, puoi dire: guarda che forse…; se invece uno fa la sparata e basta, allora… Comunque è vero che sono un’opportunità, e forse potrebbero anche essere utilizzate meglio, anche da parte nostra come chiesa, si creerebbe maggiore confronto, non tanto un programma o tante parole, ma percepire anche che recezione c’è e poter poi con calma rispondere.

Sostanzialmente dunque una cosa positiva, ricordando che ogni strumento umano è sempre a doppio taglio, lo puoi utilizzare bene o utilizzare male…

Eccellenza, è proprio un brutto periodo per la politica: ogni giorno sembra che i politici siano uno peggiore dell’altro. Anch’io ho fatto politica attiva per dieci anni e se ho mal di pancia io, non so la gente cosa prova… Ho visto che anche lei, non per cavalcare l’antipolitica, ha fatto degli interventi molto chiari e forti. Ha avuto qualche reazione?

Sì, certo, ho qua qualche lettera… Ma i miei interventi intendevano essere un appello nella speranza che i responsabili li considerino… Dovremmo dire a questa gente: voi siete impegnati al servizio degli altri. Può essere che ognuno di questi nelle sue intenzioni faccia del bene o comunque non tutti sono uguali… Però… Io mi sono riferito soprattutto a due realtà: i partiti politici e le Camere, Parlamento e Senato. Parlamento e Senato perché le leggi le fanno loro e noi eleggiamo quasi 900 persone perché siano lì a proporre leggi per il bene comune e non per questa lobby, per questo o quell’altro interesse. Il governo fa i suoi decreti per tappare i buchi e diciamo lo ha fatto ponendo grossi pesi sulle spalle di tutti, il povero, il medio, ecc., ma non in proporzione forse totalmente uguale, e qui si apre un altro discorso. Ma io mi sono riferito principalmente a chi fa quelle leggi e a chi ne è responsabile, perché troppo spesso si è visto che passano le leggi non per il bene comune ma per il bene di un gruppo. Il secondo riferimento è ai partiti politici. Mi colpisce spesso il fatto che – beh, ci sarà il problema dell’unità – basta che il capo dica e si fa tutti così, anche se ci sono delle obiezioni… E poi abbiamo quotidianamente notizie di sperperi attuati proprio dai rappresentanti politici nelle varie realtà amministrative… Dobbiamo tacere sempre? Sì, ho avuto consensi proprio per questa denuncia non populistica ma per dire: possiamo contare su persone che esercitano una loro responsabilità e che non sono solo là a far numero… Poi, certo, ci sono anche tante altre cose. Ad esempio i gruppi di dirigenza con stipendi altissimi, su cui non si è posto mano, ecc. Ho avuto consensi; ma non nascondo che c’è stata anche qualche faccia un po’ così… la capisco, e magari qualcuno che avrebbe avuto qualcosa da dire ha avuto meno libertà di dirmela, perché tante volte è più facile esprimere le lodi e i consensi… Ma avrei anche accettato se qualcuno mi dicesse: Beh, vede, eccellenza, forse… Io comunque ho parlato con onestà e anche, è vero, con una certa chiarezza. Ho voluto dire: guardate, che le vediamo tutti queste cose. E’ possibile che nessuno faccia niente?! Tanto è vero che lo sconcerto della gente è: ma adesso a chi ci rivolgiamo? Questo era dunque l’appello, più che grandi elucubrazioni…

Io ho avuto la fortuna di avere tre bambini, ora la più grande ha cominciato il catechismo… Ricordo i miei tempi e mi pare che la società sia cambiata, anche per questo aspetto, non in meglio. Come vede il rapporto dei genitori con questo cammino di fede dei figli…?

E’ il grande problema della iniziazione cristiana, un termine per dire: come si fa a introdurre uno nella vita di una comunità cristiana, a entrare dentro la fede e a camminarvi dentro. Se uno deve imparare a guidare, fa i suoi corsi, la teoria, la pratica, e alla fine sa come ci si muove sulla strada. Noi occupiamo per introdurre alla fede soprattutto gli anni della fanciullezza. Parlando a te come genitore: per la fede dei figli, il primo problema che ti sei posto è stato: beh, li battezziamo. Ma il battesimo si dà ad un adulto che crede: quando ti è stato chiesto: Credi tu?… Tu hai risposto a nome di tuo figlio o di tua figlia… Poi parlando della prima, per sei anni o sette niente, giusto? Comincia la seconda elementare e allora: Ah, adesso bisogna cominciare il cammino e allora si portano al catechismo, alcuni anni e poi la comunione, poi altri due tre anni e la cresima, poi …finito! Alla fine, arrivederci fino a… quando sarà ora, se intendono sposarsi… Il punto nodale ora qual è? La via per trasmettere la fede è principalmente la famiglia. Noi lavoriamo per il catechismo in media un’ora alla settimana, per 30 settimane, perché poi d’estate non si fa… Tu pensi che sia possibile offrire un’introduzione alla fede con la comprensione ma anche con la vitalità? Allora diciamo: Guardate – ecco la proposta che vorremmo fare – il battesimo stesso avrebbe bisogno di un cammino prebattesimale e postbattesimale ai genitori: è l’occasione di riprendere in mano la propria fede. Tu che presenti il figlio al battesimo cosa gli insegnerai nei prossimi anni? Il senso religioso si acquisisce nei primi anni. Si può dare il battesimo dopo 5-6 mesi, ma occorre dirsi: che senso abbiamo della vita? quali valori trasmettiamo? I figli sono un dono… Prima è necessario che cresca la fede dei genitori perché sono loro i primi a poter trasmettere la fede, il senso della preghiera, il senso religioso ai bambini, i primi 5-6 anni sono fondamentali. Quindi rivalutare il tempo della preparazione al battesimo e anche l’accompagnamento… Se, due-tre volte all’anno per quelle famiglie che hanno battezzato ci fosse un incontro specifico per riflettere, per imparare ad aiutare i figli a pregare, conoscere due tre santi, due tre parabole… in sei anni sono 18 incontri e anche la vostra fede forse crescerebbe. Così pure, quando il bambino a 9 anni fa la prima comunione, che preparazione ha per capire cos’è l’Eucaristia che non comprendiamo bene neanche noi adulti? E quindi la proposta che facciamo è di portare più avanti la comunione: anzi, prima la Cresima e dopo la Comunione. E’ sempre stato: se ricordi, quando hai imparato al catechismo, si è sempre detto l’ordine dei sacramenti così: Battesimo, Cresima, Eucaristia, anche se si è sempre fatto l’inverso, perché la Cresima è connessa più con il Battesimo, è una riconferma delle promesse battesimali, e quando uno è pienamente inserito nella comunità allora si celebra l’Eucaristia… Il Battesimo si celebra una volta per dire che è una porta di ingresso, la Cresima si celebra una volta come una conferma che stai camminando nella fede; ma poi entri nella pratica quotidiana della Comunione, l’Eucaristia, e quello diventa il fatto che tu sei introdotto a vivere.

Quindi la comunione dopo: potrebbe essere in quarta o quinta elementare, prima media. Si può anche celebrare insieme, Cresima e Comunione, oppure in quinta la Cresima e in prima media la Comunione, o in quarta la Cresima e in prima la Comunione… Spostamenti finalizzati perché il bambino che cresce, accompagnato dai suoi genitori, possa introdursi in maniera più piena nella comprensione e sentire che s’inserisce in una comunità. Se tu parli con i catechisti che preparano alla Cresima, ti dicono che è una mezza disperazione, perché in seconda-terza media hanno altri problemi per la mente… Allora occorre riprendere in mano l’organizzazione, ma soprattutto l’accompagnamento delle famiglie: noi le aiutiamo qualche ora, non possiamo fare di più. Anche se uno va a messa ogni domenica, sono 50 settimane all’anno, 50 ore, a cosa corrispondono? Due giorni! Riusciamo a trasmettere la fede se non c’è la presenza della famiglia? Riprendere in mano il cammino dell’iniziazione cristiana vuol dire mettere al centro la famiglia e noi come comunità cristiana essere di supporto in queste grandi tappe: comunichiamo la fede e poi celebriamo i sacramenti, e non prima i sacramenti e poi se viene la fede bene, se no pazienza!

C’è qualche difficoltà per noi preti e per voi genitori. Ma questo è il compito educativo: c’è un bel cammino da fare. Ci stiamo impegnando e con fatica… perché richiede anche maggiore impegno, meno scadenze esteriori, ma più continuità e contenuto. Sennò capita che diamo a tutti i sacramenti e a pochi la consistenza della parola di Dio e la fede.

Per fare un paragone, come ai tempi del 6 politico, quando si dava a tutti la promozione però non sapevano né leggere né scrivere…

Anche perché oggi siamo in tempi diversi: ai miei tempi eravamo tutti cristiani: se andavi fuori casa, se incontravi le persone, tutti dicevano che esiste Dio, tutti conoscevano la fede, tutti andavano in chiesa. Adesso no, anzi si vergognano anche i nostri figli a scuola di parlare di fede perché tutti quanti sono lontani, i mass media combattono contro. Allora, o tiriamo su gente ben solida e formata e sennò c’è questa abitudine sociologica di fare le tre tappe, battesimo comunione e cresima e poi sarà quel che sarà. Questo è il cammino di impegno che ci attende.

E’ un bel progetto.. Vorrei concludere con un cenno alla situazione di tante famiglie che sono in difficoltà economica. Manca il lavoro e in molti manca anche la speranza, mentre penso che ci siano elementi per sperare. Mi riferisco ad esempio a una situazione concreta di una ragazza che ha avuto un brutto incidente e la cittadinanza e molti giovani si sono mobilitati per offrire solidarietà…

Credo che la crisi è ormai un termine comune: certamente il momento che stiamo vivendo è molto difficile. Però diciamo che la crisi stessa ha messo in risalto due realtà: da una parte – ed è quella che fa un po’ ribollire – ci si potrebbe fare presenti con appropriati strumenti sia di carattere amministrativo e di presenza, mentre hai la sensazione che chi di dovere non si muove e tutto resta come prima ed è vero che ci sono famiglie, piccoli imprenditori, in vere difficoltà e nessuno viene in cerca e tu non riesci a darne fuori, la banca prestiti non te ne fa, tu devi saldare quel che devi saldare, e tutto salta. Questa è la parte negativa che la crisi mette in atto: tante volte non si accorre con le possibilità che ci potrebbero essere. Ma d’altra parte è vero che si è messa in risalto anche una solidarietà e una vicinanza: come chiesa diocesana c’è ad esempio la Casa famiglia, nel Polesine una Casa d’accoglienza per disabili o per minori o per gente che ha avuto problematiche particolari. Adesso dobbiamo ristrutturare e mettere a norma una Casa di accoglienza immediata per chi si trova ad aver bisogno per un mese-due, non in forma stabile, ma di primo intervento finché le strutture sociali si danno da fare, ecc. Poi abbiamo attivato alcuni Centri di ascolto, dove un’infinità di persone vengono con i loro problemi… Qualcosa abbiamo messo noi, molto è stato messo anche da banche e Fondazioni per andare incontro a molti per recuperare ciascuno 2-3.000 euro per superare il momento di crisi, insomma una distribuzione di risorse. Ma soprattutto il bisogno di sapere che ci si prende a cuore di questi problemi. E con molta gente disponibile, perché non siamo noi preti, ma gente che nella corresponsabilità si mette a disposizione, si dà da fare, accompagna, ecc. Poi altre piccole cose che si possono fare, qualche raccolta, forse secondarie, però… Adesso ci auguriamo che la situazione economica, politica e sociale possa avere anche un’evoluzione positiva e quindi… Sento dire un po’ dappertutto che ormai il 2013 dovrebbe essere un anno di uscita.

Speriamo bene…

Dunque noi mettiamo non l’ingenuità, ma quell’attenzione che ci pone in condizioni di permettere a tutti una vita sufficientemente dignitosa. Speriamo che chi più può più metta: dobbiamo prendere questa regola. Se da questa crisi fosse venuto anche un insegnamento, questo darebbe speranza alla popolazione, che in questi momenti vive in difficoltà. Noi guardiamo non soltanto in basso, ma anche alto, e quindi l’augurio che faccio è che non lasciamo mai morire la speranza, anzi ci diamo da fare per farla risorgere nel cuore di tutti. Questo l’augurio che faccio anche per il prossimo anno 2013. Un saluto a tutti!

Grazie!

(a cura di Andrea Comparato)

 

 

 

da NUOVA SCINTILLA 1 del 6 gennaio 2013